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HO ASSISTITO AD UN DIBATTITO IN CUI DUE POLITICI SE LE CANTAVANO DI COTTE E DI CRUDE: MA È LECITO? L'Avvocato risponde 

HO ASSISTITO AD UN DIBATTITO IN CUI DUE POLITICI SE LE CANTAVANO DI COTTE E DI CRUDE: MA È LECITO?

Stigmatizzati gli eccessi verbali tra politici, nel commento dell’avvocato Simone Labonia.

Un acceso confronto politico può facilmente degenerare in toni sopra le righe, ma non sempre la libertà di espressione giustifica parole offensive. È quanto emerge da un recente caso che riporta all’attenzione un tema delicato: quando una critica rivolta a un politico durante un dibattito pubblico può integrare un’ipotesi di reato.

Nel diritto penale italiano, la linea di confine tra critica e offesa è tracciata dagli articoli 595 e 596-bis del Codice penale, che disciplinano la diffamazione e le offese a un corpo politico, amministrativo o giudiziario. In particolare, se l’attacco verbale avviene in un contesto pubblico o mediatico, la condotta può assumere una gravità maggiore per la potenziale amplificazione del messaggio.

La giurisprudenza riconosce ai rappresentanti politici un margine di tolleranza più ampio rispetto ai privati cittadini, in quanto soggetti esposti al dibattito pubblico. Tuttavia, ciò non significa che siano “bersagli liberi”. Il diritto di critica, anche politica, deve rispettare limiti di continenza, verità e pertinenza. Quando le espressioni trascendono in insulti personali, insinuazioni infondate o attacchi alla dignità individuale, l’autore rischia di incorrere in un procedimento penale per diffamazione aggravata.

Emblematici sono i casi in cui, nel corso di un dibattito o di una manifestazione, si utilizzano parole oltraggiose rivolte direttamente a un esponente politico. In tali situazioni, se l’offesa è pronunciata alla presenza del destinatario, può configurarsi ingiuria (oggi depenalizzata ma sanzionabile in sede civile); se invece è rivolta a un pubblico o a terzi, prevale l’ipotesi di diffamazione aggravata a mezzo stampa o altro mezzo di pubblicità, punita fino a tre anni di reclusione o con la multa.

Un’ulteriore aggravante può derivare dal contesto istituzionale: se l’offesa mira a delegittimare la funzione esercitata dal politico, e non soltanto la persona, può configurarsi il reato di vilipendio, previsto per la tutela del prestigio delle istituzioni democratiche.

In definitiva, la libertà di parola rimane un pilastro della democrazia, ma non un lasciapassare per l’insulto. Nel confronto pubblico, il dissenso, anche duro, deve esprimersi entro i confini della correttezza e del rispetto reciproco. L’equilibrio tra libertà di critica e tutela della reputazione è sottile, ma essenziale per mantenere il dibattito politico un luogo di confronto e non di offesa.

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